1. Il ruolo della terra coltivabile nel pensiero dei primi economisti
La storia economica dei secoli precedenti alla rivoluzione industriale evidenzia come la disponibilita' di
terra arabile costituisse uno dei principali vincoli alla crescita della popolazione.
Lo sviluppo delle citta', e quindi delle attivita' commerciali e manifatturiere, era direttamente correlato alla
produttivita' agricola, legata al lento progredire delle tecniche di coltivazione e limitata dall'estensione delle
terre coltivabili.
L'importazione di grano e altre derrate alimentari da luoghi sempre piu' lontani, permise molto spesso una crescita
degli agglomerati urbani al di la' dei limiti produttivi dei territori circostanti; rimase comunque una forte consapevolezza
del legame esistente tra risorse agricolo-alimentari e possibilita' di sviluppo di una societa'.
Queste brevi considerazioni dovrebbero chiarire la ragione per la quale nei primi pensatori economici non e' difficile
individuare un'attenzione verso le risorse naturali e in particolar modo a quella specifica della terra coltivabile.
Tra questi i Fisiocrati, vissuti nella Francia pre-rivoluzionaria, costruiscono le loro teorie sull'idea che il
"sovrappiu' economico" ha la sua origine in agricoltura.
L'assunto centrale di tale linea di pensiero sottolinea come solo l'attivita' agricola sia in grado di produrre
un surplus o "prodotto netto".(1)
"Questa tesi di Francois Quesnay e' stata analizzata con particolare attenzione da Joseph Shumpeter, che ne
dichiara la indiscussa validita' in base all'affermazione che soltanto la produzione primitiva porta fisicamente
nuovi elementi nel mondo dei beni; mentre l'attivita' manifatturiera non farebbe altro che dare nuova forma ai
prodotti ottenuti dalla produzione primitiva. Tale peculiarita' dell'agricoltura puo' essere estesa anche all'attivita'
mineraria, alla pesca, alla raccolta di legna, ecc. almeno finche' le miniere, le riserve di pesca, i boschi, ecc.
sono considerate come risorse naturali inesauribili o comunque in grado di riprodursi naturalmente" (2).
Il lavoro in quanto tale, seppur necessario per ottenere la produzione agricola (e quindi chiamato lavoro produt-tivo),
non crea il "prodotto netto", anzi per calcolare tale surplus bisogna detrarre, tra l'altro, cio' che
viene utilizzato per nutrire i lavoratori agricoli. Allora, secondo i fisiocratici, da dove viene il prodotto netto
?
Esso e' considerato un "dono della natura".
Ai nostri tempi, alla luce di concetti scientifici non ancora sviluppati ai tempi di Quesnay, possiamo rilevare
come quest'ultima tesi in qualche modo precorre un'idea molto utile per analizzare il rapporto economia-ambiente:
il "prodotto netto" dell'agricoltura non e' altro che l'energia biologica, cioe' quell'energia che muove
gli uomini e gli animali e che le piante immagazzinano sfruttando l'energia solare tramite la fotosintesi clorofilliana;
riprenderemo piu' avanti queste considerazioni per vedere come, in qualche modo, si ricollegano ad alcune riflessioni
di autori contemporanei.
Per concludere, e' evidente che per i fisiocrati la ricchezza di una nazione e' condizionata dalla prosperita'
della sua agricoltura, ma questo non possiamo percepirlo come idea di un limite alla crescita, piu' che altro perche'
non e' qui' presente il concetto di accumulazione del prodotto netto e quindi l'idea stessa di sviluppo economico.
Gli economisti successivi, a partire da Smith, respingeranno l'idea di un'eccedenza solo nell'agricoltura e dimostreranno
l'esistenza di un'eccedenza anche nell'industria e nel commercio, data dal fatto che quest'ultime attivita' pur
non aggiungendo nulla al volume totale in senso fisico, aggiungono valore alle merci prodotte, aumentandone l'utilita'.
Sono comunque gli studiosi classici, con l'elaborazione del principio dei rendimenti decrescenti e della teoria
della rendita differenziale, ad individuare nei limiti produttivi della risorsa terra un vincolo allo sviluppo
economico.
La legge dei rendimenti decrescenti viene elaborata, pressoche' contemporaneamente da quattro economisti: West,
Torrens, Malthus e Ricardo.
Nella terminologia corrente essa si puo' cosi' enunciare: "Se rimangono costanti tutti i fattori di produzione
eccetto uno, gli incrementi di prodotto ottenibili median-te addizioni di successive unita' del fattore variabile
decresceranno al di la' di un certo punto".(3)
Il concetto moderno di produttivita' decrescente dei fattori si discosta da quello dei classici per il fatto che
questi ultimi non si riferiscono ad una situazione statica, ma inseriscono questo principio in un'analisi dinamica
nella quale variano la popolazione e lo stock di capitale investito.
Il fenomeno dei rendimenti decrescenti e' definito come "il principio secondo cui, col progredire della coltivazione,
la produzione agricola diviene via via piu' dispendiosa".
Questo fenomeno viene attribuito al fatto che i terreni coltivabili sono limitati non solo quantitativamente, ma
anche qualitativamente; esistono cioe' terre di diversa fertilita', o piu' o meno lontane dai mercati di sbocco.
Un metodo alternativo di produrre piu' alimenti consiste nel lavorare la stessa terra in modo piu' dispendioso.
Anche in questo secondo caso, secondo i classici, avremmo un rendimento decrescente : "Ci si avvede talvolta
che, raddoppiando l'ammontare del capitale originariamente impiegato nel terreno n.1, non si puo' ottenere un prodotto
doppio (...)". (4)
Da questo principio discende la cosidetta "teoria della rendita differenziale", secondo la quale la rendita
pagata su un determinato terreno corrisponde all'eccedenza del prodotto sulle spese di capitale e lavoro del coltivatore
marginale, cioe' quello della terra meno fertile (che paga rendita zero).
Mi sembra importante precisare che nei classici il principio dei rendimenti decrescenti non e' riferito a una diminuzione
della fertilita' dei terreni susseguente ad un loro sfruttamento, ma presuppone solamente l'esistenza di terre
di diversa qualita' e una produttivita' decrescente a successivi input di "capitale-lavoro" sullo stesso
terreno. Non risulta infatti che essi abbiano individuato dei limiti "ecologici" del terreno, che ne
comportino un possibile "impoverimento"; Ricardo, per esempio, sostiene invece che la terra possiede
dei "poteri originari e indistruttibili", cioe' che essa e', in sostanza, una risorsa inesauribile. D'altra
parte, in un'interpretazione moderna, il principio dei rendimenti decrescenti potrebbe essere esteso anche a questo
caso.(5)
David Ricardo individua dei limiti relativi alla crescita economica, basandosi sulle teorie sopra illustrate, che
egli espone nella sua opera principale "Sui pricipi dell'economia politica e della tassazione".(6)
Nel suo "Saggio sul basso prezzo del grano"(7) il tasso di profitto ottenuto dal terreno marginale determina
il saggio di profitto dell'intero sistema economico. A mano a mano che aumenteranno la popolazione e la domanda
di viveri, terre progressivamente meno fertili saranno messe a coltura, e quindi la tendenza alla compressione
dei profitti comportera', in assenza di progresso tecnico, l'avvento di uno stato stazionario nel quale la crescita
cessa.(8) Lo stato stazionario vedra' l'intero prodotto netto suddiviso tra rendite e salari, la cessazione dei
profitti e quindi dell'accumulazione del capitale.
Ricardo e i suoi seguaci usano questi argomenti soprat-tutto a scopo politico per combattere gli interessi dei
proprietari agrari e per opporsi alle "leggi sul grano", che impediscono l'importazione di frumento in
Inghilterra favorendo la crescita dei prezzi dei beni alimentari e quindi del costo del lavoro per la classe imprenditoriale
che egli rappresenta.
Questa teorie introducono comunque dei limiti relativi alla crescita, poiche' lo stesso Ricardo "individua
la possibilita' di contrastare la tendenziale caduta del saggio di profitto attraverso la meccanizzazione e, comunque,
attraverso il miglioramento tecnico dei processi di produzione agricola" (9).
Infine bisogna ricordare come Ricardo estende la teoria dei rendimenti decrescenti, oltre che alla terra, ad altre
risorse naturali come quelle minerarie.
"La perfetta identita' fra terra e miniera implica che anche le miniere possiedono poteri originari e soprattutto
indistruttibili. Cio' e' una evidente semplificazione che Ricardo fa in tutta lucidita', ritenendo cioe' del tutto
trascurabile il fatto che le miniere inesauribili non esistono; e' pero' altrettanto evidente che all'epoca di
Ricardo era lecito pensare ad un mondo nel quale, per quanto potessero aumentare le difficolta' per il reperimento
di minerali, vi fosse sempre la possibilita' di trovare nuovi giacimenti."(10)
Robert Malthus nel suo "Saggio sul principio della popolazione"(11) introduce invece nel pensiero economico
l'idea dell'esistenza di limiti assoluti alla crescita, con una visione pessimistica nella quale l'aumento della
popolazione tende a superare i mezzi di sussistenza. In questo libro egli indaga sulle cause che impediscono i
progressi del genere umano verso il benessere, individuandole nella "costante tendenza, che hanno tutti gli
esseri viventi, a moltiplicarsi piu' di quanto lo permettano i mezzi di sussistenza di cui possano disporre"(12).
Nell'esporre questa "legge di natura", dalla quale Darwin dice di aver tratto ispirazione nell'elaborare
il suo concetto di selezione naturale, Malthus sostiene che gli animali e le piante sono portati dall'istinto a
moltiplicarsi senza freni, ma il difetto di spazio e viveri e la voracita', che li fa preda gli uni degli altri,
limita il loro aumento incontrollato.
Anche gli uomini, nonostante tutti i loro sforzi, sarebbero sempre costretti a piegarsi a questa legge.
Malthus, che documenta le sue tesi con un vasto materiale storico riferito a diversi popoli della terra, basa sostanzialmente
le sue teorie su un confronto tra due pro-gressioni: mentre la popolazione, quando non e' arrestata da nessun ostacolo,
tende a crescere in progressione geometrica, la produzione alimentare aumenta, nella migliore delle ipotesi, solo
in progressione aritmetica.
Analizzando alcuni dati, e in particolare quelli relativi all'America Settentrionale, Malthus ritiene che la popolazione
non tenuta a freno si raddoppia almeno ogni 25 anni, secondo una progressione geometrica. Riferendosi all'Inghilterra,
egli afferma che, con il miglior governo e con i maggiori incoraggiamenti all'agricoltura, e' concepibile (benche'
poco probabile) che la produzione dei mezzi di sussistenza possa, in un primo periodo, seguire la medesima legge.
Nei cinque lustri seguenti tuttavia, dopo un ulteriore raddoppio della popolazione, sarebbe impossibile aumentare
i raccolti nella stessa misura. Nella migliore delle ipotesi, sostiene il Malthus, si puo' immaginare che la produzione
dell'isola cresca ogni 25 anni di una quantita' uguale a quella del prodotto iniziale, e quindi in progressione
aritmetica.
Questo autore, constatato che la popolazione tende a superare i mezzi di sussistenza, individua conseguentemente
l'esistenza di una serie ciclica di periodi; a quelli di crescita della popolazione, ne seguirebbero inevitabilmente
altri di carestia e miseria nei quali essa resta costante. Nell'epoca di penuria il minor costo del lavoro, la
sovrabbondanza di lavoranti e l'incentivo a dissodare i terreni incolti fanno in modo che, con il tempo, i mezzi
di sussistenza tornino ad adeguarsi alla maggiore popolazione, ma questo porta ad un'ulteriore crescita demografica
e quindi ad un'altra epoca di penuria.
Malthus si convince che l'eccesso di popolazione viene generalmente evitato con due tipi di freni: preventivi e
repressivi.
Quello preventivo e' tipico dell'uomo e deriva dalla capacita' razionale di valutare le conseguenze del suo agire:
il timore di non riuscire a sfamare la propria prole porta a ritardare i matrimoni e ad esercitare una "restrizione
morale". Se questa, pur cagionando una certa infelicita', non degenera nel vizio, e' certamente il minore
dei danni.
Gli ostacoli repressivi sono moltissimi, scrive il Malthus, e comprendono ogni causa derivante da vizio o malessere,
che contribuisca ad abbreviare la durata della vita umana, come ad esempio le occupazioni malsane, l'estrema poverta',
la malnutrizione, l'insalubrita' delle citta' affollate, le epidemie, le guerre, la fame.
Malthus sostiene che, come nel passato, anche in avvenire l'aumento della popolazione verra' frenato dalla miseria
o da altre sofferenze, e quindi si convince dell'opportuni-ta' di rallentarlo con delle limitazioni volontarie,
per evitare tali patimenti alle generazioni future.
Egli quindi propone di esortare gli uomini ad osservare la restrizione morale, astenendosi da matrimoni precoci
e conducendo una vita pura. Inoltre si schiera contro le leggi a favore dei poveri poiche', sostiene, esse costituiscono
un incentivo ad accrescere la popolazione, senza nulla aggiungere ai mezzi di sussistenza, ed aggravando quindi
ulteriormente la miseria.
Nella concezione del Malthus, da molti definita propriamente "reazionaria", i poveri, con la loro imprevidenza
nel crearsi una famiglia senza tener conto del futuro, so-no essi stessi i diretti responsabili delle loro sventure.
La vera base della teoria Malthusiana della popolazione e' certamente il principio dei rendimenti decrescenti,
che egli utilizza per sostenere l'impossibilita' di un continuo raddoppio della produzione dei mezzi di sussistenza.
Egli elabora inoltre, sulla base di questo principio, una teoria della rendita differenziale simile a quella di
Ricardo.
Malthus, comunque, e' da considerarsi un rappresentante della classe agraria e quindi avversario politico di Ricardo,
dal quale le sue idee sostanzialmente divergono. Egli e' stato considerato da molti un "reazionario",
probabilmente non solo perche' ha proposto alcuni provvedimenti contro i poveri, ma anche perche' ha sostenuto
la necessita' di aumentare i redditi dei proprietari agrari e di diminuire i profitti industriali, contraddicendo
l'"ottimismo" di un'epoca in piena espansione industriale.
Le sue idee hanno sollevato quindi ai suoi tempi, ed anche piu' recentemente, echi notevoli di consensi e critiche.
In generale, sono state oggetto di aspre critiche, soprattutto perche' clamorosamente smentite dai successivi avvenimenti
storici, specialmente grazie ai progressi tecnologici che hanno permesso, fino ad oggi, miglioramenti nel tenore
di vita di una popolazione sempre piu' vasta.
Oggi, di fronte all'aumento delle problematiche "ambientali", le teorie di questo autore classico possono
sembrare particolarmente interessanti; non si dovrebbero tuttavia dimenticare gli aspetti piu' reazionari del suo
pensiero.
In seguito, le idee di Ricardo e di Malthus basate sulla limitatezza fisica della risorsa terra e sulla legge dei
rendimenti decrescenti vengono riprese da John Stuart Mill.
Egli estende questo principio anche alle miniere, consi-derando tuttavia, a differenza di Ricardo, anche un loro
possibile esaurimento: "Siccome una miniera non riproduce il carbone o il minerale da essa estratti, non soltanto
tutte le miniere sono destinate ad esaurirsi, ma anche quando non mostrano segni di esaurimento, devono essere
lavorate ad un costo crescente (...) La legge dei compensi decrescenti si applica dunque alle miniere (...)".
(13)
Mill, comunque, riconosce la capacita' del progresso di spostare in alto i limiti della crescita economica, ma
in definitiva e' abbastanza scettico sulle sue potenzialita': "(...) che la condizione media della popolazione
vada migliorando o peggiorando, dipende nei tempi attuali come in qualsiasi altro tempo, dalla circostanza se l'incremento
della popolazione sia piu' rapido del progresso, o viceversa. (...) Ma benche' il progresso, durante un certo periodo
di tempo, possa mantenere il passo con l'incremento della popolazione o perfino superarlo, e' certo che esso non
raggiunge mai quel saggio di incremento che la popolazione e' capace di raggiungere e nulla avrebbe potuto impedire
un peggioramento generale nelle condizioni della razza umana, se l'incremento della popolazione non fosse stato
di fatto limitato." (14)
Mill vede quindi nella scarsita' fisica delle risorse naturali e nella loro produttivita' decrescente, nel lungo
andare, un limite insuperabile alla crescita economica e della popolazione e, come Ricardo, teorizza l'avvento
di uno "stato stazionario".
Tuttavia Mill guarda con ottimismo a questa fase, dove la lotta concorrenziale e' cessata e la ricchezza e' equa-mente
distribuita.
Sebbene egli sia un propugnatore del capitalismo concor-renziale e dei principi liberali, sostiene comunque la
necessita' di una serie di riforme che apportino una maggiore uguaglianza e giustizia sociale. Egli auspica quindi
la fine di quell' "urtarsi e spingersi gli uni con gli altri, che forma il tipo esistente della vita sociale",
sostenendo l'idea di una societa' che, invece dell'aumento della produzione e dell'accumulazione, abbia come scopi
principali una migliore distribuzione della ricchezza, una maggior remunerazione del lavoro e miglioramenti industriali
per alleggerirlo e abbreviarlo, in modo di lasciare a tutti "un tempo libero sufficiente per potersi dedicare
alle cose amene della vita".
"Questa condizione della societa', tanto preferibile a quella attuale, non soltanto e' perfettamente compatibile
con lo stato stazionario, ma si direbbe piu' consentanea ad esso che a qualunque altro".(15)
Il famoso capitolo dei Principi sullo stato stazionario rivela, in un suo passaggio, una sensibilita' del tutto
moderna sui problemi ambientali, tanto da far parlare spesso di Mill come di un "ecologista ante-litteram".
Egli infatti sostiene che, pur essendovi nel mondo spazio per un ancor grande aumento della popolazione, non vi
e' grande motivo di desiderarlo. L'uomo, per Mill, e' arric-chito nel suo carattere dal poter meditare in solitudine
la bellezza e la grandezza della natura: "Se la bellezza che la terra deve alle cose venisse distrutta dall'aumento
illimitato delle ricchezza e della popolazione, al sempli-ce scopo di poter dare sostentamento ad una popolazione
sempre piu' numerosa, benche' non migliore, allora io spero sinceramente, per amore della posterita', che questa
sara' contenta di rimanere stazionaria, molto tempo prima di esservi obbligata dalla necessita'".(16)
Al di la' del concetto di "stato stazionario" che, pur se ripreso e sostenuto da alcuni economisti contemporanei
(17), e' oggi in gran parte contestato, in queste pagine di Mill troviamo comunque dei "valori" molto
attuali, in particolar modo se confrontiamo le sue idee con le sempre piu' diffuse convinzioni sulla necessita'
di conciliare lo sviluppo con una maggiore qualita' della vita e con la conservazione dell'ambiente naturale per
le generazioni future.
Con Mill possiamo considerare concluso questo primo periodo della storia del pensiero economico nel quale la terra
riveste un ruolo fondamentale.