5.2. Le pioggie acide e le radiazioni
Oltre al riscaldamento dell'ecosistema che, come si e' visto, non sembra del tutto eliminabile, la produzione
di energia comporta altri rischi ambientali, che possono essere in varia misura risolti ma che, tuttavia, ove fossero
ignorati o non adeguatamente affrontati, potrebbero danneggiare seriamente i sistemi viventi del nostro pianeta
e quindi comportare anch'essi delle serie conseguenze anche per lo sviluppo economico.
Innanzitutto esistono alcuni problemi di inquinamento gia' dall'inizio del ciclo produttivo, cioe' a partire dal
primo momento nel quale avviene l'estrazione dei combustibili e in quello immediatamente successivo del trasporto
(90).
L'estrazione di carbone dalle miniere comporta la produzione di grandi quantita' di materiali inerti e, nel caso
di giacimenti a cielo aperto, lo sventramento di grandi territori, con perturbazioni al paesaggio e rischi di alluvioni
nel caso che non si proceda ad una bonifica.
In genere nella vicinanza sia delle miniere di carbone, sia dei pozzi petroliferi, si verificano casi di inquinamento
idrico.
La piu' delicata estrazione del petrolio dai pozzi sottomarini e' stata talvolta accompagnata da grandi perdite
di idrocarburi nel mare, cosi' come accade nel caso del trasporto, dove talvolta si registrano incidenti di navigazione
che comportano disastri ecologici anche di notevole entita', come quello avvenuto recentemente vicino alle coste
dell' Alaska.
Un altro genere di problemi proviene dal fatto che, bruciando i combustibili fossili per produrre energia, si immettono
nell'ambiente diverse sostanze chimiche, con effetti ecologici negativi talvolta molto rilevanti.
La quantita' di queste sostanze chimiche dipende dalla qualita' merceologica dei vari combustibili fossili e dal
sistema di combustione.
Oltre al CO2, generalmente si producono anidride solforosa, ossidi di azoto, ossido
di carbonio, polveri ed idrocarburi incombusti. Queste sostanze hanno effetti dannosi sulla salute, provocando
un aumento delle malattie respiratorie e del cancro. Trasformate in acidi bruciano e uccidono la vegetazione, corrodono
i fabbricati e i veicoli e infine contribuiscono all'inquinamento della terra e dell'acqua.
L'anidride solforosa, provocata dall'ossidazione dello zolfo presente nei combustibili, e l'anidride solforica
derivante dall'ossidazione della prima nell'atmosfera, hanno effetti nocivi sulla salute umana. Inoltre quest'ultima
si trasforma ulteriormente, per reazione con l'acqua piovana, in acido solforico, inquinando il suolo sul quale
precipita.
Alla formazione delle cosidette "pioggie acide" contribuisce anche l' ossido di azoto che, reagendo con
l'acqua, si trasforma in acido nitrico.
Le pioggie acide, grazie all'azione dei venti, possono cadere anche a centinaia di chilometri di distanza rispetto
agli impianti che le hanno originate. Cio' e' dovuto soprattutto all'installazione di alti camini, adottati negli
anni settanta dai paesi industrializzati per controllare l'inquinamento delle aree industriali ed urbane. Questo
provvedimento ha semplicemente spostato piu' lontano i problemi, tanto da far parlare di "paesi esportatori"
e "paesi importatori" di pioggie acide.
Di conseguenza, la percezione dell'inquinamento dell'aria si e' spostata da un problema locale, interessante una
o piu' comunita', ad un problema regionale, coinvolgente interi continenti.
Gli effetti sull'ambiente delle pioggie acide destano una preoccupazione che va via via crescendo.
Gli ecosistemi acquatici sono i piu' sensibili a questo fenomeno e molti laghi degli USA, del Canada e del nord-Europa
si sono acidificati in maniera notevole, rimanendo senza pesci.
L'effetto sugli animali acquatici dipende dal grado di acidita', che si misura in pH (91): 7 e' il pH neutro, corrispondente
all'acqua distillata, mentre valori piu' bassi indicano acidita' e valori piu' alti alcalinita'.
A valori di pH tra 5 e 4,5 i pesci non possono piu' vivere. I molluschi cominciano a morire appena che il pH raggiunge
un valore uguale a 6. Solo alcuni scarafaggi d'acqua soppravvivono a pH acidi.
Una lieve acidita' delle pioggie e' di per se' un fatto naturale e quindi le acque meteoriche dovrebbero avere
un'acidita' che si aggira intorno ai 5/5,5 di pH.
Se si pensa che l'acidita' dell'acqua piovana raggiunge talvolta anche valori di pH = 2,6, non ci si sorprende
degli effetti devastanti di questo fenomeno sugli ecosistemi acquatici.
Danni ulteriori all'uomo, agli animali e alle piante derivano dal fatto che le pioggie acide, penetrando nelle
riserve d'acqua potabile, rendono mobili alcuni metalli pesanti molto pericolosi, quali il cadmio, il piombo, il
mercurio, lo zinco, il rame e l'alluminio.
Effetti devastanti si hanno anche nel suolo, del quale le pioggie acide modificano i contenuti chimici, privando
le radici delle piante del loro nutrimento, con la dilavazione di minerali quali il calcio e il potassio.
Le preoccupazioni maggiori si hanno in Europa, dove molti rapporti dimostrano che i terreni in alcune zone sono
diventati acidi in tutti gli strati raggiunti dalle radici degli alberi (circa 100 cm di profondita'). Poiche'
l'acidita' e' frequentemente inferiore a 4 pH, l'alluminio entra in soluzione e diventa elemento mobile, causando
danni alle radici delle piante anche in concentrazioni molto basse.
La morte delle foreste, registrata in molti paesi, potrebbe essere causata dall'azione combinata dei danni causati
dai terreni acidi e da quelli arrecati alle foglie e agli aghi delle conifere.
L'inquinamento agisce anche nel senso di indebolire le difese naturali della pianta nei confronti delle avversita'
tradizionali (freddo, siccita', parassiti), secondo il concetto di malattia complessa.
Fino ad oggi i dati piu' preoccupanti si registrano in Europa occidentale e orientale, che ricevono annualmente
piu' di un grammo di zolfo per metro quadro.
Nel 1982 la Repubblica Federale Tedesca ha segnalato danni visibili all'8% degli alberi, ma nel 1983 questi dati
riguardavano gia' il 34% del patrimonio boschivo e nel 1985 erano saliti ulteriormente al 50%. In Svezia si sono
registrati effetti negativi per il 30% delle foreste. Stime attuali segnalano che in Europa sarebbe stato colpito
ben il 14% dell'intero patrimonio boschivo.(92)
Sebbene a tutt'oggi scarseggino studi rigorosi sull'argomento, il Worldwatch Institute rileva come probabilmente
molti paesi in via di sviluppo siano da annoverare tra le vittime dei danni ambientali dovuti all'impiego di combustibili
fossili.
Particolarmente preoccupante sembra la situazione della Cina, che risente negativamente dell'impiego massiccio
di carbone.
I danni inferti al suolo e alle foglie delle piante dalle pioggie acide non colpiscono, ovviamente, solo le foreste
ma anche l'agricoltura. Alcune indagini di laboratorio, effettuate in Giappone, inducono a stimare che l'inquinamento
atmosferico potrebbe ridurre la produzione di certe colture di frumento e riso forse addirittura del 30%.(93)
Infine, le pioggie acide non danneggiano solo i sistemi viventi, ma attaccano la pietra e corrodono le strutture
metalliche, causando ogni anno miliardi di danni. In Svezia, per esempio, i danni per corrosione sono stati stimati
a 800 milioni di dollari.(94) D'altra parte la rovina di molti monumenti ed edifici storici costituisce una perdita
di valore inestimabile.
Ricordiamo brevemente l'esistenza di altri agenti inquinanti dell'atmosfera come l'ossido di carbonio e le ceneri
dei carboni fossili.
Il primo si forma in particolare nel settore dei trasporti stradali, in seguito alla combustione incompleta della
benzina e del gasolio nei motori a scoppio; e' tossico anche a basse concentrazioni e il suo effetto e' rilevante
soprattutto nelle strade e zone urbane.
Nei carboni fossili vi sono elevate quantita' di sostanze inorganiche non combustibili, che finiscono in parte
nell'atmosfera sotto forma di polveri volatili. In tali polveri e' stata talvolta rilevata le presenza di mercurio
o di elementi radioattivi, in piccolissima quantita'.
Comunque, come gia' rilevato, a parte per il CO2, l'inquinamento ambientale derivante dall'uso dei combustibili
fossili non e' ineluttabile, ma e' dovuto a sostanze chimiche tutte trattabili, o trattenibili, o trasformabili
in sostanze non nocive o insolubili, con tecniche note, anche se costose.
Per quanto riguarda le emissioni di anidride solforosa e gli ossidi di azoto si possono individuare perlomeno quattro
tipi di provvedimenti, che agiscono prima, durante e dopo la combustione o tendono a ridurre i consumi di combustibile:
1) L'impiego dei combustibili cosidetti "puliti", privi o a basso contenuto di zolfo (95); 2) Interventi
sulla caldaia, nuove tecnologie di combustione; 3) depurazione dei fumi prodotti dalla combustione, tramite sistemi
di desolforazione e dinitrificazione; 4) risparmio di energia.
Nel rapporto della Commissione Mondiale per l'ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite (96), si riportano alcune
stime sui danni causati dall'inquinamento atmosferico e sugli eventuali costi di riduzione delle emissioni.
Per esempio, negli stati orientali degli USA dimezzare le restanti emissioni di anidride solforosa costerebbe circa
5 miliardi di dollari all'anno, con un aumento della fattura delle forniture elettriche del 2-3%. D'altra parte,
si sottolinea, i soli danni da corrosione dei materiali sono stati stimati in 7 miliardi di dollari all'anno. In
Europa una riduzione del 55-65% delle emissioni costerebbe una cifra variante tra i 4,6 miliardi e i 6,7 miliardi
di dollari (del 1982) per anno, con una aumento di circa il 6% dei prezzi energetici. I costi dei danni causati
ai materiali e alle popolazioni ittiche sarebbero stimati sui 3 miliardi di dollari all'anno e quelli riguardanti
le coltivazioni, le foreste e la salute oltre i 10 miliardi annui.
I danni inferti all'economia e i costi del risanamento ambientale sembrerebbero quindi, nel complesso, molto maggiori
dei pur notevoli sacrifici che si dovrebbero compiere per rimediare all'inquinamento.
Del tutto differenti sono i problemi ambientali connessi alla produzione di energia con centrali termonucleari.
Sull'uso dell'energia nucleare in questi ultimi anni si e' sviluppato un dibattito che ha coinvolto esperti, opinione
pubblica e governi.
Alcuni ritengono che l'esperienza acquisita in materia permetta di risolvere gia' da oggi molti problemi di sicurezza
o comunque hanno fiducia che, per quelli irrisolti, come l'eliminazione delle scorie radioattive, si troveranno
soluzioni adeguate. Quindi, in assenza di nuove e valide alternative essi non vedono nessun motivo per il quale
questo tipo di energia non debba largamente imporsi. Altri, al contrario, sono dell'avviso che siano troppi i problemi
irrisolti e i rischi per la societa' e per l'ambiente.(97)
Nel frattempo sono avvenuti tutta una serie di incidenti, piu' o meno gravi, ma tali comunque da ridimensionare
la prevalente fiducia in tale fonte di energia.
Da piu' parti si sottolinea come le stime piu' ottimistiche sulla sicurezza delle centrali siano state sino ad
ora smentite dai fatti. "La categoria di massimo rischio per insufficiente contenimento delle radiazioni e'
stata definita come corrispondente a circa uno su un milione di anni di attivita' dei reattori, ma le analisi successive
agli incidenti sia del reattore di Harrisburg sia di quello di Cernobyl, che sono di tipo completamente diverso,
hanno provato che in entrambi i casi la causa principale andava attribuita a errori umani verificatisi dopo circa
duemila e rispettivamente quattromila anni di attivita' del reattore".(98)
In definitiva questo dibattito e i ripetuti incidenti hanno scatenato apprensioni e preoccupazioni tali da frenare
e ridimensionare i piani di sviluppo del nucleare, portandoli addirittura in certi paesi ad un blocco totale.
Nell'Europa Occidentale e nel Nord America, che oggi dispongono di quasi il 75% dell'intera potenza installata
mondiale, il nucleare fornisce circa 1/3 del quantitativo di energia previsto dieci anni fa. In molti stati le
commesse, la costruzione e la concessione di licenze per nuovi reattori risultano limitatissime. Tra il 1972 e
il 1986 le precedenti proiezioni globali per la capacita' produttiva di energia nucleare nel 2000 sono state ridimensionate
e ridotte di quasi sette volte.(99)
Non e' possibile, in queste pagine, approfondire adeguata-mente tutte le problematiche legate all'uso e allo svi-luppo
dell'energia nucleare. Ci si limitera' percio' ad illustrare quelli che sono i probabili rischi ambientali di una
proliferazione di questo tipo di energia, nell'ipotesi che non si arrivi alla costruzione di centrali molto piu'
sicure a costi accettabili.
Non si vuole qui' addentrarsi troppo neppure in questioni tecniche riguardanti la sicurezza delle centrali, ma
va sottolineato che sulla possibilita' di costruire centrali piu' sicure e sull'opportunita' di investire in questa
direzione grandi risorse nella ricerca e nello sviluppo, non esistono certamente opinioni concordi, specialmente
nel momento in cui questi fondi andrebbero sottratti alla ricerca di fonti energetiche "pulite".
I rischi del nucleare vanno valutati non solo rispetto alla probabilita' di gravi incidenti, ma anche per le conseguenze
di piccoli e piu' frequenti rilasci di radiazioni, e per i pericoli connessi a tutto il processo di produzione,
dalla miniera allo smaltimento delle scorie.
Durante le operazioni minerarie si verifica un inquinamento dell'aria ad opera del radon-22 formatosi dal decadimento
radioattivo del radio presente insieme all'uranio.
Vari altri prodotti di decadimento della famiglia del-l'uranio vanno a finire nelle polveri che si formano nelle
attivita' di escavazione e di frantumazione della roccia.
Anche il trattamento chimico che consente di ottenere ossido di uranio nella forma utile, detta "yellow cake",
produce altri residui solidi e liquidi, con pericolo di contaminazione.
I rischi per le popolazioni derivanti dal funzionamento dei reattori nucleari derivano dal rilascio, volontario
o accidentale, di sostanze radioattive.(100)
La pericolosita' dei vari prodotti della fissione e' diversa a seconda del tipo di radiazione che emettono (in
genere particelle alfa, beta e raggi gamma) e secondo la durata del periodo di dimezzamento.
Gli effetti lesivi delle radiazioni si distinguono tra quelli, certamente piu' gravi, che si producono quando un
individuo subisce un'irradiazione con dosi sufficiente-mente elevate, e quelli "a comportamento statistico"
per i quali non si puo' fissare per ogni singolo caso un legame diretto causa-effetto, e di cui neppure e' stata
dimostrata l'esistenza della soglia al di sotto della quale non si ha piu' alcun danno. In questo ultimo caso al
variare dell'immissione dei materiali radioattivi nell'ambiente, dovrebbe variare semplicemente la probabilita'
che un certo numero di persone ne venga a risentire, ma non la gravita' delle malattie eventualmente contratte.
Le radiazioni ionizzanti penetrano profondamente nei tessuti irradiati e possono comportare modificazioni molecolari,
provocando mutazioni nel DNA. Cio' puo' provocare manifestazioni patologiche di diverso genere, come cancro o leucemia.
Se la radiazione colpisce pero' una cellula seminale, puo' dare luogo a una mutazione genetica, con possibili effetti
patologici nella prole del soggetto colpito o, se la mutazione e' recessiva, addirittura in quella di generazioni
future.
Il problema di eventuali pericoli relativi a rilasci di sostanze radioattive da parte di reattori nucleari si presenta
non solo in caso di incidenti, ma anche per il normale funzionamento, durante il quale avvengono fughe minime di
isotopi radioattivi.
Queste fughe di rifiuti a bassa attivita' sono inevitabili e, in genere, previste e accettate, purche' non diano
luogo a dispersioni che superino le concentrazioni massime stabilite per legge. Ci si attiene al concetto di "soglia
di rischio", cioe' all'idea che una dose molto piccola di radiazioni sia priva di effetti nocivi. Ma questo
e' un criterio con il quale non tutti sono d'accordo poiche', come gia' sottolineato, non e' stata dimostrata l'esistenza
della soglia al di sotto della quale non si avrebbe piu' alcun danno.
Basandosi sul concetto di "soglia di rischio" sono state emanate delle direttive che determinano le concentrazioni
massime ammissibili allo scarico per radionuclidi o per miscele di essi con aria o acqua. Gli ecologi sottolineano
pero' come il concetto stesso di concentrazione nell'acqua e nell'aria sia in realta' molto discutibile, sia per
le sostanze tossiche, quanto per quelle radioattive. " (..) a differenza delle sostanze mutagene o cancerogene,
per le quali il rapporto tra dose e effetto secondo molti studiosi non esiste, le sostanze tossiche hanno un rapporto
dose/effetto evidente e calcolabile (...). Eppure, anche per le sostanze tossiche, il grado di concentrazione nell'aria
o nell'acqua e' discutibile: infatti un tossico puo' essere, nell'acqua, cosi' diluito che la si puo' bere senza
alcun rischio; pero', se in quell'acqua vivono delle alghe, puo' darsi che nel loro organismo l'inquinante tossico
si concentri e se queste servono da nutrimento a pesci erbivori, nell'organismo dei pesci si concentra ancor piu';
se poi il pesce erbivoro viene mangiato dal pesce carnivoro, che a sua volta serve da nutrimento all'uomo, ecco
che la razione alimentare puo' portare all'organismo umano una dose pericolosa dell'inquinante tossico, anche se
l'acqua nella quale vive la trota e' perfettamente potabile. Analoghi fenomeni di concentrazione nella catena alimentare
si verificano anche per gli isotopi radioattivi, e percio' la bassa concentrazione di isotopi radioattivi negli
scarichi liquidi o aeriformi delle centrali non offre nessuna garanzia."(101)
Queste preoccupazioni sembrano convalidate da alcune ricerche statistiche, come quelle effettuate presso la centrale
di Millstone nel Connecticut nel periodo 1970-75 e presso la centrale di Shippingport in Pennsylvania nel periodo
1959-71, che hanno evidenziato un aumento della mortalita' per cancro molto elevata, che tendeva a diminuire allontanandosi
di parecchi chilometri dalle centrali.(102)
Altri problemi ambientali sono legati al problema delle scorie radioattive, a tutt'oggi risolto solo nel breve
periodo. Poiche' alcune di esse rimangono attive per decine di migliaia di anni, non e' stato finora possibile
concepire un sistema che ne garantisca un sicuro isolamento. Certamente le scorie radioattive, come le centrali
smantellate, resteranno un'eredita' per le generazioni future.
Scorie radioattive gettate nei mari, esperimenti con ordigni nucleari, guasti ai reattori di centrali o di sommergibili
atomici hanno lasciato e lasceranno sul nostro pianeta un inquinamento che, ancora per molti secoli, si sommera'
a quello di altri elementi tossici e mutageni che l'uomo immette continuamente nell'ambiente.