Per comprendere il problemi economici legati alla scarsita' delle risorse naturali,
si sono fin ora illustrate alcune analisi che, seppur talvolta originali o "rivoluzionarie" come quella
di Georgescu-Roegen, appartengono pur sempre al campo della teoria economica "pura".
In economia politica, una teoria pura e' una costruzione logica che muove da premesse astratte, dedotte dall'esperienza
storica o da evidenze di comportamento e non puo', ad un certo punto della sua struttura, inserire nuovi elementi
senza essere riesaminata dall'inizio. Cio' non significa che essa sia impermeabile all'evidenza storica ed empirica,
ma solo che deve dominare la maggiore quantita' di fenomeni economici riconducendoli mediante l'astrazione a componenti
sintetiche. (1)
Se il grado di astrazione della teoria "pura" ci puo' quindi essere utile per ottenere delle indicazioni
di carattere generale, esso non sempre e' compatibile con una descrizione completa dei fenomeni economici.
Percio' puo' essere utile affiancare alle analisi dell'economia teorica quelle di altre discipline, pur con essa
confinati, che permettano una migliore comprensione della realta', sia rispetto al passato, sia sulle tendenze
future; tra queste possono essere annoverate l'analisi economica storico-teorica, l'econometria applicata e l'analisi
simulativa globale.
L'uso di queste metodologie, per confrontare i modelli teorici con i dati storici e statistici dell'economia reale
o per tentare delle previsioni, e' certamente di grande importanza, ma nell'ambito del mondo accademico sta sviluppandosi
comunque un dibattito sull'insufficienza di tali strumenti e sulla necessita' di aprire ulteriormente l'analisi
economica ai contributi di altri rami del sapere (2).
Serge-Christophe Kolm sostiene che "la scienza economica affronta importanti problemi, ma il piu' delle volte
fallisce nel tentare di risolverli, perche' le spiegazioni affondano le loro radici in campi che restano fuori
dai confini che la disciplina si e' imposta"(3). Certi fallimenti sarebbero a suo parere evitabili se gli
economisti attingessero ad altri campi del sapere quali la sociologia, la filosofia e la psicologia.
Da queste riflessioni emerge l'indicazione che, pur conservando le qualita' della propria disciplina, gli economisti
dovrebbero utilizzare tali conoscenze perlomeno per verificare piu' attentamente le ipotesi alla base delle proprie
costruzioni teoriche, oppure per accertare se le spiegazioni di un dato fenomeno economico non sfuggano alla classificazione
in determinati modelli teorici perche', in realta', dipendono in diversa misura da variabili non strettamente economiche
(4).
Questo "arricchimento culturale" dell'economista sembra ancor piu' necessario per il fatto che, come
Kolm afferma, l'econometria non riuscirebbe a provare se una teoria sia giusta o sbagliata. Kolm afferma che "in
realta', econometrici abili possono difendere, entro limiti abbastanza ampi, qualsiasi ipotesi, reinterpretando,
selezionando o mettendo insieme i dati, introducendo nuove variabili e ritardi temporali, cambiando la struttura
a priori dell'insieme di relazioni da sottoporre a verifica e cosi' via" (5).
Quindi, costruito un determinato modello teorico, le conseguenti verifiche empiriche non bastano a provare se esso
sia una buona approssimazione della realta', per cui e' sempre necessario che le ipotesi siano adeguatamente approfondite
e verificate e che il contesto storico-sociale ben definito.
Queste considerazioni rendono, in definitiva, abbastanza evidente come la scienza economica non possa prescindere
dai dati e dai risultati di ricerche condotte al di fuori del proprio campo di applicazione.
I problemi economici relativi alla finitezza delle risorse naturali e alla conservazione degli ecosistemi, dei
quali qui ci si occupa, rendono in particolar modo necessario che l'economista, pur non uscendo dal proprio campo
specifico, tenga conto dei risultati e delle ricerche di molte discipline quali, per esempio, l'ecologia, le scienze
agrarie, la medicina, ecc.
Analizzando le idee sviluppate da Georgescu-Roegen, abbiamo gia' visto come la stessa teoria economica "pura"
abbia potuto aprirsi ai contributi della biologia e della termodinamica.
Romano Molesti, sostenendo la necessita' di studiare attentamente le relazioni di queste due scienze con l'economia,
la sociologia e con i processi produttivi in genere, ha inoltre scritto: "Non e' detto che debba essere ritenuta
scontata la frantumazione delle discipline scientifiche, ma occorre anzi tendere ad una effettiva ricomposizione
dell'unita' della scienza, specie favorendo le ricerche interdisciplinari e lo scambio tra cultura scientifica
e cultura umanistica" (6).
Ai fini della presente analisi risultera' quindi utile illustrare i contenuti del cosidetto "rapporto del
M.I.T. al Club di Roma", che puo' essere considerato un primo tentativo di applicare l'analisi simulativa
globale per individuare eventuali limiti allo sviluppo dettati dalla scarsita' assoluta di risorse naturali. Questo
modello empirico, come vedremo anche dalle notevoli critiche che ha suscitato, soffre comunque, per certi aspetti,
degli stessi difetti dei modelli della teoria economica "pura".
Cioe', come sottolineato dal Kolm (7) "anche i modelli empirici globali su larga scala, i cui risultati previsivi
hanno finito con l'essere cosi' deludenti, altro non sono che sistematizzazioni complete e coerenti delle varie
intuizioni o pregiudizi dei loro autori (il che puo' essere un progresso rispetto al fatto di disporre di un insieme
incompleto o inconsistente di pregiudizi interdipendenti)".
Puo' essere utile percio', non tanto per cercare di costruire un modello alternativo, ma quanto invece per rendersi
conto dei vari aspetti del problema, rianalizzare alcune ipotesi di fondo del modello del M.I.T., che peraltro
appare ormai abbastanza datato, alla luce di diversi contributi scientifici e teorici. In questo senso sembra opportuno
rivedere almeno tre dei fattori critici individuati in tale rapporto: l'esaurimento delle risorse non rinnovabili,
la produzione di alimenti, l'inquinamento.