Il problema del possibile esaurimento delle risorse naturali quale limite alla crescita
economica non e' nuovo, nonostante il fatto che abbia meritato l'attenzione di esperti ed opinione pubblica specialmente
in questi ultimi anni, in corrispondenza ad eventi quali la crisi petrolifera e la crescente degradazione dell'ambiente
sia a livello locale che planetario.
Il dibattito ha portato a conclusioni e posizioni molto diverse, tanto da far parlare di una contrapposizione tra
"ottimisti" e "pessimisti".
La divergenza di opinioni nasce, come vedremo, da differenti ipotesi sull'entita' delle risorse, sulle potenzialita'
del progresso tecnologico, sulla capacita' dell'eco-sistema di sopportare l'attivita' antropica.
Nel dibattito in questione si usano talvolta dei termini che potrebbero esprimere concetti diversi; sembra quindi
opportuno chiarirne il significato.
1. Le risorse naturali:
concetti generali
"Con il termine risorse naturali si e' soliti indicare l'insieme di tutte le materie prime presenti in
natura, potenzialmente utilizzabili dall'uomo per produrre merci che soddisfino le sue necessita' e i suoi desideri"
(1).
Questa e' certamente una delle definizioni piu' ampie di questo termine, che comprende sia le risorse economicamente
sfruttabili con le tecnologie disponibili (che, in genere con riferimento alle sole risorse non rinnovabili, vengono
chiamate piu' propriamente "riserve"), sia quelle che potrebbero diventarlo in seguito a mutamenti economici
o tecnologici.
Tra le risorse cosi' definite possiamo anche annoverare elementi immateriali (o comunque non facilmente quantificabili)
appartenenti all'ecosistema terrestre, quali ad esempio il clima, che influenzano l'ottenimento di molti beni materiali.
E' possibile dare una definizione ancor piu' estesa di risorse naturali includendovi tutti quei beni ambientali
dai quali gli uomini traggono un godimento.
Un ambiente naturale intatto puo' certamente produrre anche un servizio quantificabile (pensiamo ad esempio al
turismo, ai frutti e alla selvaggina prelevabili, ecc.) ma, al crescere di una "sensibilita' ecologica",
la valutazione della convenienza a mantenere un habitat inalterato tende a sfuggire a criteri tecnico-economici
per cadere nel campo delle opportunita' politico-culturali (2).
Le risorse naturali vengono solitamente distinte in due gruppi: risorse non rinnovabili e risorse rinnovabili.
Le prime non sono naturalmente riproducibili, anche se molte possono essere in diversa misura riciclate, mentre
le seconde si possono riprodurre secondo propri cicli naturali.
Tra le risorse non rinnovabili si comprendono i minerali presenti nella crosta terrestre, ma anche sostanze come
il petrolio o il carbone che, pur essendo di origine organica, non sono riproducibili, almeno in tempi umani (3).
Tra le risorse rinnovabili possiamo annoverare la terra coltivabile, il clima, le risorse idriche e l'energia solare.
Questi elementi condizionano, insieme ai cicli biologici di riproduzione e di crescita, la disponibilita' delle
altre risorse rinnovabili date da tutte le sostanze di origine vegetale ed animale.
A parte l'energia solare, che costituisce un flusso pressoche' inesauribile (4), anche le risorse rinnovabili non
sono disponibili in quantita' infinite; vedremo in seguito come un loro prelievo o uso indiscriminato ne puo' pregiudicare
la qualita' (e quindi l'utilita') o mettere in serio pericolo i cicli di riproduzione.(5)
La consapevolezza che, essendo la terra un mondo finito, tutte le risorse sono limitate e' un'acquisizione relativamente
recente. In passato il nostro pianeta sembrava talmente vasto, rispetto alle necessita' e alle esigenze della popolazione
umana, tanto da non destare preoccupazioni per l'eventuale esaurimento delle materie prime; il concetto di "scarsita'",
attribuito alle risorse naturali, veniva quindi inteso soprattutto in termini relativi.
Ai fini di questa tesi, e' importante sottolineare come oggi, alla presenza di un acceso dibattito sul tema, questo
termine puo' assumere due diversi significati.
Bisogna infatti distinguere tra la scarsita' assoluta di una risorsa, cioe' la sua naturale finitezza, e la sua
scarsita' relativa o economica.
Come sottolineato da Mercedes Bresso, la scienza economica ha visto la scarsita' come il prodotto di una relazione
tra la domanda e l'offerta; una risorsa puo' essere quindi abbondante in quantita' assoluta e al tempo stesso scarsa
in termini relativi se, in un certo periodo, sul mercato la sua domanda supera l'offerta. (6)
In questa tesi si vuole discutere principalmente sull'esistenza o meno di limiti allo sviluppo economico legati
alla scarsita' assoluta delle risorse naturali, siano esse rinnovabili o meno.
Come sopra gia' rilevato anche le risorse rinnovabili non sono disponibili in quantita' infinite perche', seppur
riproducibili, esistono limiti biologici ed ecologici ad un loro uso e prelievo indiscriminato.
2.
Un approccio alle problematiche dello sviluppo economico
Il dibattito sulla scarsita' assoluta delle risorse porta quindi, quasi inevitabilmente, a domandarsi se e
fino a quando lo sviluppo economico e' compatibile con i limiti fisici ed ambientali del nostro pianeta.
Questa domanda ha avuto risposte molto diverse, non solo, come vedremo, a causa di analisi che si basano su differenti
ipotesi, ma probabilmente anche per il fatto che il concetto stesso di sviluppo economico puo' essere diversamente
inteso.
Innanzitutto bisogna evidenziare la differenza tra il concetto di crescita e quello di sviluppo:
" (...) la crescita configura un aumento del prodotto senza modificazioni strutturali o di tipo qualitativo,
mentre lo sviluppo presuppone un'espansione accompagnata da cambiamenti sostanziali nell'assetto socio-istituzionale
e culturale." (7)
L'analisi economica si e' preoccupata di definire e misurare soprattutto la crescita economica, concentrando
la sua attenzione prevalentemente sull'espansione "quantitativa" del capitale e sull'aumento della produzione
nazionale.
Fino all'inizio del secondo dopoguerra, si utilizzo' l'espressione di "tenore di vita" per misurare il
livello di progresso di una nazione, attraverso alcuni indicatori indiretti, ciascuno dei quali poteva dar conto
del livello raggiunto in un aspetto piu' o meno significativo dello sviluppo economico.
Indicatori di questo tipo potevano essere la durata media della vita, il tasso di mortalita' infantile, il consumo
pro-capite di alcuni fondamentali generi alimentari, il possesso di determinati beni (es: l'automobile), la produzione
di alcuni beni strategici, lo sviluppo raggiunto dalla rete ferroviaria, ecc..
E' comunque solo nel dopoguerra che si perfeziona e si afferma il sistema moderno della contabilita' nazionale
e la scienza economica acquisisce un indice per misurare la crescita quale il Prodotto Nazionale Lordo (PNL).
Giorgio Ruffolo sottolinea come questo indice, che e' stato definito come una delle piu' grandi invenzioni delle
scienze sociali, "sia stato usato e abusato, dagli economisti, e soprattutto dai politici, in relazione a
contesti incomparabili ed a realta' non quantificabili secondo i criteri dell'economia di mercato, cui l'aritmetica
della contabilita' nazionale resta indissolubilmente legata." (8)
Il PNL quindi e' stato utilizzato, abbastanza acriticamente, al di fuori del suo contesto analitico e storico,
per misurare il grado di sviluppo o di benessere delle nazioni, senza tener conto degli ammonimenti degli stessi
fondatori della moderna contabilita' nazionale, che misero in guardia sul valore relativo di questo indice e sul
rischio di abusarne.
Si spiegano cosi' le reazioni, nate tra gli stessi economisti, all'uso improprio del PNL, che presenta alcuni limiti
nella rappresentazione della realta'.
La critica principale e' dovuta al fatto che la contabilita' economica non puo' tener conto delle transazioni che
non passano attraverso il mercato (9).
Puo' anche esser vero che l'ampliamento costante dell'area del mercato abbia effettivamente ristretto l'area dell'autoproduzione
e dell'autoconsumo, ma certamente questa permane quale un dato "sociologico" di grande importanza, che
va a distorcere notevolmente la validita' del PNL, relativamente alla possibilita' di confrontare il grado di sviluppo
di nazioni diverse o addirittura degli stessi paesi nel tempo, in presenza di mutamenti sociali significativi.
In particolare "il Pnl e' inadeguato quando cerca di misu-rare contemporaneamente economie altamente monetarizzate,
quali quelle del Nord del mondo ed economie scarsamente monetarizzate quali quelle del Sud, dove le transizioni
non monetarie caratterizzano la maggior parte delle attivita' economiche (agricoltura di sussistenza, baratto,
economia di villaggio)."(10)
Se poi, come sembra, l'evoluzione piu' recente delle stesse nostre economie mostra chiari segni di una rinascita
dell'economia informale sottratta al mercato, man mano che questa si espande il significato delle statistiche relative
al PNL si riduce (11).
Un'altra critica a tale indice sottolinea come esso misuri tutte le attivita' generate dal meccanismo di mercato,
senza distinguere se esse siano siano produttive, improduttive o distruttive (12).
A tal proposito Orio Giarini (13) ha affermato che il PNL dovrebbe misurare non solo i valori aggiunti, ma anche
i valori sottratti: "danni emergenti, nella misura in cui si depaupera il patrimonio naturale e ambientale;
lucri cessanti, nella misura in cui l'accumularsi di beni e lo sviluppo di servizi di mercato produce utilita'
decrescenti e fa emergere nuovi costi e nuovi disagi: i disagi e i costi dell'opulenza" (14). Puo' essere
che il Pnl tenga conto delle spese affrontate per evitare questi "costi dello sviluppo", ma in questo
caso non sarebbe comunque corretto considerare l'aumento di queste spese come un aumento del benessere, ed esse
andrebbero quindi detratte (15).
In definitiva ci si e' resi conto che lo stato di benessere degli individui non e' dato solo dalla disponibilita'
di beni economici, ma anche da altri fattori piu' squisitamente qualitativi come le condizioni di lavoro, la vita
urbana, la sicurezza personale, la possibilita' di soddisfare vari bisogni sociali e culturali.
Queste osservazioni sono state poi sviluppate ulteriormente nelle riflessioni di alcuni economisti (16) che, utilizzando
l'apparato concettuale delle "diseconomie esterne", hanno analizzato i cosidetti "costi dello sviluppo",
quali ad esempio l'inquinamento ambientale e il degrado urbano, evidenziando la necessita' di preoccuparsi non
solo della crescita "quantitativa" del sistema economico, ma di individuare anche modalita' di sviluppo
che tengano conto della cosidetta "qualita' della vita" (17).
Percio' l'utilizzo del PNL, quale indicatore del benessere, nelle societa' industrializzate risulta sempre piu'
insoddisfacente: "E' chiaro che l'aumento delle diseconomie esterne provoca una diminuzione del benessere.
Se di tali diseconomie non si tiene conto nel calcolo del PNL, si verifica una divergenza tra la crescita economica,
fin qui considerata, sia pure implicitamente, come sinonimo di benessere, e l'aumento reale del benessere stesso.
Ne consegue la necessita' di fare una distinzione tra il livello di vita misurato per mezzo del PNL e il benessere,
che non e' invece misurato".(18)
A seguito di queste critiche sono stati fatti dei tentativi di correggere gli attuali sistemi di contabilita' economica
nazionale, tenendo conto dei fenomeni da essi trascurati.
Nordhaus e Tobin (19), per esempio, hanno definito il cosidetto New (Net Economic Welfare) in cui entrano con segno
positivo una serie di beni e servizi trascurati dagli attuali sistemi di contabilita' nazionale (es. il lavoro
delle casalinghe) e con segno negativo una serie di "falsi" valori aggiunti (es. costi per la conservazione
dell'ambiente, la sicurezza sociale, ecc.).
Confrontando i valori del New e del PNL negli Stati Uniti dal 1929 al 1980 si e' rilevato come il primo cresce
molto meno del secondo: cioe' il benessere del cittadino americano sarebbe cresciuto in questi trent'anni assai
meno del suo reddito.
La critica agli indicatori economici comunque permane. Come sottolinea la Martirani, essi "sono inadeguati
perche' sottostimano la percezione soggettiva che di benessere e sviluppo popoli con una loro originale cultura
dovrebbero avere: la specificita' geografica fa si che regioni del tutto diverse tra di loro non abbiano la stessa
percezione di benessere, mentre la specificita' delle culture rende diversa la percezione dei bisogni".(20)
In questa direzione sono stati sviluppati alcuni indicatori che tengono conto, oltre che dei fattori economici
anche di quelli sociali e culturali.(21)
Concepire lo sviluppo economico tenendo conto anche dei suoi aspetti piu' squisitamente qualitativi, certamente
comporta il rischio di fare delle scelte di valore, e quindi di produrre strumenti non del tutto neutrali rispetto
a modelli culturali o ideologie politiche diverse.
D'altra parte nemmeno la scelta di un indice puramente quantitativo come il PNL quale misura del "successo
economico" di una determinata societa' e' del tutto esente da giudizi di valore.
Risulta quindi molto difficile, se non impossibile, parlare di sviluppo economico senza fare riferimento, implicitamente
od esplicitamente, a determinati modelli, che discendono da una propria visione ed interpretazione culturale della
realta'.
Se, come scrive la Martirani, "I modelli di sviluppo implicano atteggiamenti ideologici, intellettuali e morali
che sono alla radice di precise scelte economiche, politiche e sociali" (22), viene abbastanza spontaneo chiedersi
rispetto a quali "modelli di sviluppo" e' lecito parlare di limiti dovuti alla scarsita' assoluta di
risorse naturali.
Innanzitutto bisogna sottolineare che le preoccupazioni e il dibattito intorno all'argomento sui presunti "Limiti
allo sviluppo economico", nascono probabilmente da una concezione dello sviluppo tipicamente "occidentale"
e storicamente collocabile dopo la rivoluzione industriale. Un dibattito di questo tipo sarebbe stato impensabile,
per esempio, in epoche o contesti culturali pre-industriali, dominati talvolta da ideologie "mistiche",
sorrette da elaborazioni dottrinarie di carattere teologico.
Quindi esso riflette il clima e le convinzioni culturali contemporanee che, nonostante tutte le possibili aperture
agli aspetti qualitativi dello sviluppo, individuano pur sempre nel progresso e nel successo economico nella nostra
societa' un obiettivo fondamentale.(23)
Tuttavia, i problemi posti dallo sfruttamento massiccio delle risorse naturali, dall'inquinamento e da altre conseguenze
sociali indesiderate della crescita, hanno portato molti a chiedersi se l'attuale modello di sviluppo sia compatibile
con gli eventuali limiti ambientali del nostro pianeta e, in caso di risposta negativa, quali alternative si porrebbero.
Il dibattito sui "modelli di sviluppo", come era prevedibile, non ha coinvolto solamente gli economisti,
ma anche sociologi, politici, ecologi, scienziati, ecc. (24)
A questo punto, l'inevitabile riferimento a diversi concetti e modelli di sviluppo economico sembra creare una
certa confusione, della quale sara' bene tener conto.
Nel cosidetto "rapporto Brundtland" (25), per esempio, si parla di "sviluppo sostenibile",
concetto che sottintende la necessita' e la possibilita' di conciliare la crescita economica con miglioramenti
di tipo "qualitativo" e con una gestione piu' responsabile delle risorse.
In questo caso quindi non vengono individuati dei limiti assoluti alla crescita economica, poiche' essi verrebbero
a sussistere solo se si persistesse nel mantenere un modello di sviluppo che non conservi ed incrementi le proprie
risorse naturali.
Altri invece sostengono che sarebbe piu' appropriato parlare di limiti alla crescita piuttosto che allo sviluppo,
enfatizzando la differenza tra i due concetti e sostenendo che i limiti sarebbero piu' di ordine quantitativo che
qualitativo (26).
Qualcuno, sollevando notevoli critiche, propone addirittura un totale arresto dello sviluppo economico, ipotizzando
una "crescita zero" (27) oppure il cosidetto "stato stazionario".
"Per molti grandi economisti (Schumpeter ci ricorda, nella sua Storia dell'analisi economica, la sequenza
Smith - Ricardo - Mill - Keynes - Hansen) lo stato stazionario e' lo sbocco inevitabile e desiderabile dell'economia
capitalistica. Per altri, come Carnot, von Thunen, Marx e lo stesso Schumpeter, e' solo un utile strumento analitico."(28)
Bisogna sottolineare come lo stesso concetto di "stato stazionario" sia diventato ormai abbastanza ambiguo,
nel senso che il suo significato e' stato ulteriormente ridefinito da alcuni autori, quali ad esempio Daly.(29)
Mentre inizialmente il concetto di "stato stazionario" sembrava sostanzialmente coincidere con quello
di "crescita zero", ove il PNL resta costante nel tempo, esso e' stato rivalutato, alla luce delle scienze
biologiche e della termodinamica, come una situazione nella quale lo stock complessivo di ricchezze fisiche e la
popolazione vengono mantenuti ad un certo livello desiderato, con bassi tassi di throughput.
Centrale, nella definizione data da Daly, e' questo concetto di throughput, "il flusso fisico entropico
di materia-energia che proviene dalle fonti della natura, attraversa l'intera economia umana, ritorna agli scarichi
della natura ed e' necessario alla manutenzione e al rinnovo degli stock".
Come lo stesso Daly ha sottolineato e' possibile che il concetto di stato stazionario non sia necessariamente in
contrasto con quello di "crescita economica". Si puo' infatti rilevare come, in tale situazione, il PNL
potrebbe comunque aumentare per l'incremento dei servizi "immateriali".
In questo senso, il Tiezzi puo' affermare che "Dalla biologia si puo' riprendere il modello dello stato stazionario,
dell'evoluzione con minima produzione di entropia e con massima efficienza termodinamica. Stato stazionario in
biologia di nuovo significa non rinunciare allo sviluppo" (30).
Come ebbe ad affermare d'altra parte lo stesso Mill, nello stato stazionario ci sarebbe ancora spazio per la creativita'
umana, per invenzioni ed innovazioni che incrementino il benessere generale, per esempio aumentando il tempo libero
o rendendo meno pesanti certi lavori.
A tale proposito sembra quindi essersi diffusa anche una certa interpretazione dei termini, probabilmente impropria
rispetto all'uso e alla definizione piu' "tecnica", che riferisce la crescita all'incremento "fisico"
di beni e lo sviluppo ad un incremento di servizi o comunque di miglioramenti qualitativi che aumentino il benessere
generale.
Da questa breve rassegna si evince come nel dibattito sui "limiti allo sviluppo" quasi sempre, seppur
talvolta non esplicitamente, si individuino dei limiti non tanto a qualsiasi tipo di sviluppo, ma piuttosto a determinati
modelli, ogni volta diversamente definiti come "sviluppo non sostenibile", "sviluppo deteriore",
"crescita economica", "modello di sviluppo occidentale", ecc.